CULTURE CLUB
Kissing To Be Clever |
Kissing to Be Clever è l'album di debutto del gruppo britannico pop rock / reggae / new wave dei Culture Club, pubblicato nel 1982, su etichetta Virgin. Il disco, Numero 5 nella Classifica britannica degli Album, raggiunge il successo soprattutto grazie al terzo singolo estratto, la hit internazionale "Do You Really Want to Hurt Me", che, con i suoi toni solari reggae e la voce soul del cantante Boy George, resta una delle canzoni migliori e più conosciute dei Culture Club, il loro primo distintivo marchio di fabbrica. L'album comprende anche, in versioni leggermente modificate, i primi due singoli dei Culture Club, "White Boy" e "I'm Afraid of Me" (che furono entrambi dei parziali flop - parziali perché primi due sperimentali singoli di una band sconosciuta, flop se paragonati al successo delle produzioni successive - raggiungendo, rispettivamente, il #114 e il #100 nella Classifica dei Singoli del Regno Unito, nel 1982). La traccia "I'll Tumble 4 Ya" fu pubblicata anche in alcuni paesi dell'America, entrando nella Top 10 in Canada e negli USA. "Do You Really Want to Hurt Me" raggiunse all'epoca la vetta di molti paesi (Gran Bretagna inclusa). Anche "Time (Clock of the Heart)", originariamente non inclusa nell'album, poiché scritta successivamente, ha conquistato le posizioni più alte in molte classifiche internazionali. Nata proprio per dare rapidamente un séguito all'altezza del singolo pigliatutto, la canzone risale al lasso di tempo che trascorre tra la pubblicazione della multi-Numero 1 e dell'unica altra traccia ritenuta estraibile dal lavoro, la citata "I'll Tumble 4 Ya". Dopo la temporanea inclusione sul primo greatest hits della band, This Time - The First Four Years, presto andato fuori catalogo e mai ristampato, poi sostituito da altre collection ancora in commercio, "Time (Clock of the Heart)" ha seguìto un tortuoso cammino, che l'ha vista ripetutamente inclusa ed esclusa dalle varie edizioni dell'album di debutto, fino al definitivo inserimento, nel 2003, sulla versione rimasterizzata del CD, che la contiene (anche in versione strumentale), tra le quattro tracce aggiuntive. Per un po' di tempo, a partire dal 1990, il primo album dei Culture Club è stato disponibile in un'edizione in CD, della Virgin (in alcune zone distribuito dalla Epic), che non conteneva "Time (Clock of the Heart)" e presentava in copertina un disegno in bianco e nero, in sostituzione dell'equivalente foto a colori originale. Nel 1996, il long playing viene ripubblicato dalla piccola etichetta Disky Communications, stavolta con la foto di copertina a colori, ma ancora senza "Time (Clock of the Heart)". La versione rimasterizzata in CD, del 2003, include, finalmente, oltre al ripristino della foto a colori originaria, anche "Time (Clock of the Heart)", insieme ad altre tre tracce extra(tre lati B pubblicati sul retro dei vari singoli), una delle quali è lo strumentale della stessa "Time (Clock of the Heart)", appropriatamente intitolato "Romance Beyond the Alphabet" ('«romance» oltre l'alfabeto').
Colour By Numbers |
Colour by Numbers, pubblicato nel 1983, su etichetta Virgin Records, è il secondo album del gruppo musicale pop rock / reggae / new wave britannico dei Culture Club, maggiormente attivi e popolari nel corso degli anni ottanta, guidàti dal cantante anglo-irlandese George O'Dowd, al secolo Boy George, androgino leader della band e capostipite dei cosiddetti «gender benders». Il lavoro, uno dei 100 in assoluto più venduti negli anni ottanta, ha ottenuto 12 dischi d'oro e 20 dischi di platino, totalizzando 4.900.000 copie in tutto il mondo, la maggior parte delle quali negli Stati Uniti. Tra l'altro, il 33 giri contiene il singolo "Karma Chameleon" che ne costituisce il brano d'apertura: hit internazionale, la canzone è stata numero 1 in una quindicina di paesi sparsi per il globo, in particolare per 4 settimane negli USA e per 6 settimane in UK, vendendo, nella sola Gran Bretagna, 1.100.000 copie.
Il long playing comprendeva anche: "Changing Every Day", un'altra ballad, un po' più movimentata del solito, con un bell'assolo di sax nel middle; "Stormkeeper", un pezzo dalle chiare influenze latino-americane, dal titolo curioso e quasi intraducibile, che in italiano potrebbe essere reso con qualcosa come «Guardiano della tempesta» o «Custode del temporale», e dal testo squisitamente ermetico ed enigmatico; e "Mister Man", la traccia che prese il posto della title-track "Colour by Numbers", dal testo piuttosto battagliero («Per le strade predicano violenza, Signor Uomo, è nella tua testa»), pervaso di amarezza («Il Signor Uomo è un pilota, il Signor Uomo è una bufala») e ineluttabilità («Al cowboy di mezzanotte non servono né fucili né pistole per farti fuori»). "Mister Man" è uscito come singolo soltanto in Sudafrica, che viveva in quegli anni una situazione socio-politica delicata, complicata, cosicché la canzone ha potuto attecchirvi agevolmente, a differenza di altri paesi - senza contare poi che, secondo molti, il posto guadagnato da "Mister Man" tra i solchi della tracklisting principale del disco sarebbe spettato di diritto alla omessa (fino alla ristampa del 2003) title-track, la tenera ballad intitolata appunto "Colour by Numbers", in cui si tratta senza veli dell'amore omosessuale, altro tema all'epoca molto più scottante rispetto a oggi.
Il long playing comprendeva anche: "Changing Every Day", un'altra ballad, un po' più movimentata del solito, con un bell'assolo di sax nel middle; "Stormkeeper", un pezzo dalle chiare influenze latino-americane, dal titolo curioso e quasi intraducibile, che in italiano potrebbe essere reso con qualcosa come «Guardiano della tempesta» o «Custode del temporale», e dal testo squisitamente ermetico ed enigmatico; e "Mister Man", la traccia che prese il posto della title-track "Colour by Numbers", dal testo piuttosto battagliero («Per le strade predicano violenza, Signor Uomo, è nella tua testa»), pervaso di amarezza («Il Signor Uomo è un pilota, il Signor Uomo è una bufala») e ineluttabilità («Al cowboy di mezzanotte non servono né fucili né pistole per farti fuori»). "Mister Man" è uscito come singolo soltanto in Sudafrica, che viveva in quegli anni una situazione socio-politica delicata, complicata, cosicché la canzone ha potuto attecchirvi agevolmente, a differenza di altri paesi - senza contare poi che, secondo molti, il posto guadagnato da "Mister Man" tra i solchi della tracklisting principale del disco sarebbe spettato di diritto alla omessa (fino alla ristampa del 2003) title-track, la tenera ballad intitolata appunto "Colour by Numbers", in cui si tratta senza veli dell'amore omosessuale, altro tema all'epoca molto più scottante rispetto a oggi.
Waking Up with the House on Fire |
Waking Up with the House on Fire, pubblicato nel 1984, su etichetta Virgin Records, è il terzo album del gruppo musicale britannico pop rock / reggae / new wave dei Culture Club, maggiormente attivi nel corso degli anni ottanta, guidati dal leader androgino Boy George, capostipite dei cosiddetti gender benders, ben noti in quel decennio. Reduci del successo del precedente long playing, Colour by Numbers (quasi 5.000.000 di copie vendute in tutto il mondo) e del singolo pigliatutto "Karma Chameleon" (4 settimane al Numero 1 negli USA e 6 settimane al primo posto nel Regno Unito, vendendo soltanto lì 1.100.000 copie, il singolo più venduto del 1983 e uno dei più venduti - oltre che dei più citati - di tutti i tempi), i Culture Club si trovarono a dover affrontare l'onerosa sfida del terzo album. Anche il lavoro di debutto, Kissing to Be Clever, aveva riscosso una grande popolarità, con l'altra Numero 1 storica del gruppo, la ballata reggae "Do You Really Want to Hurt Me", e primo 33 giri, dopo l'esordio dei Beatles, a piazzare tre singoli, tutti tratti dal primo album, nella Classifica Americana dei Billboard Hot 100. Era naturale quindi che le aspettative fossero spropositate: da una parte, la casa discografica, la Virgin, faceva pressione sul gruppo, affinché facesse uscire rapidamente un séguito (qualsiasi fosse, e questo sarebbe stato il grande errore, «l'errore numero tre», parafrasando il titolo di uno dei tre singoli estratti) all'album precedente, prima che gli echi del successo di Colour by Numbers si spegnessero definitivamente, dall'altra, la band cominciava ad essere stanca, dopo due anni trascorsi ininterrottamente in tour e in sala. Boy George non nascose di aver registrato le tracce vocali per la maggior parte del disco senza averne assolutamente voglia (la sua storia segreta con il batterista Jon Moss stava iniziando a trapelare e di conseguenza a vacillare, a causa dell'imbarazzo palese di Moss), e le basi furono realizzate con altrettanta fretta, delegando ai computer quello che non si aveva il tempo o il desiderio di suonare con strumenti veri, che era stata invece la forza trainante dietro Colour by Numbers (così come la voce di Helen Terry, qui notevolmente ridimensionata, a causa di un malinteso col resto del gruppo, sia nel personaggio - scompare la foto all'interno del disco - che nell'interprete - non è più l'unica «female vocalist» - 'voce femminile' - dell'album, ma deve condividere il suo ruolo con varie altre coriste, anche e soprattutto dal vivo). Il risultato è un disco dai suoni poco definiti, dalle melodie sfuggenti e dai testi più contorti del solito. Basta scorrere i titoli dei dieci brani originari con un colpo d'occhio per accorgersi che il titolo stesso dell'album («Svegliarsi con la casa in fiamme»), con l'elemento del fuoco, che in inglese ha anche un senso positivo, non fa di certo riferimento alla sua energia creatrice, ma al furore distruttivo delle sue fiamme. Letti in retrospettiva, i testisembrano descrivere il rapporto di Jon e di George, che né più «baciano per essere furbi o intelligenti» ('kissing to be clever'), né «colorano coi numeri» ('colour by numbers'): siamo arrivati ormai al momento del triste «risveglio in una casa in fiamme» ('waking up with the house on fire', appunto). È difficile trovare un elemento positivo, neanche scendendo al livello dei singoli brani: «uomo pericoloso» ("Dangerous Man"), «canto di guerra» ("The War Song"), «sfortuna» ("Unfortunate Thing"), «l'ora del delitto» ("Crime Time"), e così via. Il disco sembra davvero raccontare se stesso nel titolo dell'unica ballata, "Mistake No. 3" («l'errore numero tre», appunto, la terza fatica discografica), che risalta in un mare di uptempo sballati (l'album passerà alla storia per la stranezza dei suoi middle, a prima vista tentativi sperimentali, ad un'analisi più approfondita veloci soluzioni computerizzate, su cui la voce s'innesta sfuggente, senza riuscire a fare da collante).
Forse, l'elemento positivo è da trovare proprio nella storia che, nonostante tutto, George riesce a raccontare, nella sua tipica incoerente coerenza. Dopo aver chiarito, infatti, che si tratta del terzo errore (anche se il testo, in realtà, è più amaramente autobiografico di quanto faciliterebbe invece liquidarlo come una mera descrizione dello status commerciale dell'album: l'errore numero tre sembra essere infatti la creatura che nasce dalle due persone che la mettono al mondo, e George è, tra l'altro, anche il terzo figlio...), girando il vinile, la storia porta a tentare «un tuffo» ("The Dive"), che se non ci fosse l'allegro ritornello, sarebbe piuttosto un naufragio. E via poi con il triste rimpianto del secondo singolo, "The Medal Song", con il ritornello forse più triste di tutti quelli commercializzati con successo dal gruppo («la vita non sarà mai più la stessa, con la mia rabbia, il mio dolore, le mie paure, riuscirò ad ottenere un'altra medaglia da mostrare?»), e non è un caso che il 45 giri costituisca il primo flop del gruppo, dopo il primo successo ottenuto con "Do You Really Want to Hurt Me". "The War Song", nel suo ingenuo qualunquismo banalotto, aveva dato a tutto l'entourage un falso senso di sicurezza, raggiungendo il Numero 2 della Classifica Britannica dei singoli, ma l'album, dopo i primi frenetici giorni, esauritesi le prenotazioni effettuate prima dell'uscita, dopo che il senso di attesa e aspettativa si era allentato, aveva iniziato a vendere sempre meno; anche il tour già vacillava, partito troppo presto, non riusciva a fare il tutto esaurito, per il fatto che nessuno conosceva ancora i brani (soprattutto negli USA). Alla stampa, sempre stata un'amica/nemica acerrima del poliedrico leader dei Culture Club, quella stampa che li seppe portare al successo con la stessa velocità con cui volle poi distruggerli, quella stampa che cercava di fare luce sulla storia segreta dei due compagni di gruppo, proprio a quella stessa stampa è dedicata "Mannequin", «dedicata a tutti quei giornalisti che mi hanno definito un idiota», dice Boy George in un'introduzione all'esecuzione dal vivo del brano, visionabile su YouTube, aggiungendo anche, con la sua solita tagliente ironia «posso anche essere un idiota, ma sono un idiota con stile». Con la sua piacevole melodia (anche se triste, come il testo: «lui è il mannequin dei tuoi sogni, l'hai rinnegato - io non posso che darti me stesso, ma quel che vuoi vedere tu non è questo») e con dei cori accattivanti (nelle cui parti più gravi si riconosce la voce nera del bassista Mikey Craig), il disco si avvia alla sua conclusione, proprio quando sembra affiorare una forma più equilibrata e di senso finalmente compiuto. Ma le troppe pressioni, le troppe aspettative e i troppi interessi, non a caso fanno terminare il lavoro con un altro brano profetico; neanche il tempo di dire «Salve!», che già bisogna dire «Addio...», e Hello Goodbye chiude così un disco strano e raffazzonato, senza neanche forse arrivare più alle orecchie di chi l'aveva messo sul piatto mezz'ora prima, che forse ha smesso di ascoltare sulla confusione ritmica di "The Dive" (canzone che, tra l'altro, più che approssimativa sul vinile, dà il meglio di sé proprio nell'esecuzione live, anche questa reperibile su YouTube), cercando di capire cosa fossero mai quei suoni strani, che non potevano uscire dalle menti di chi, solo qualche mese prima, intonava "It's a Miracle", «è un miracolo», in un'esplosione di gioia incontenibile e condivisa dal mondo intero. Forse, come Boy George e Jon Moss stessi diranno in séguito, la colpa principale dell'album è stata quella di voler sperimentare anzitempo coi computer, in un periodo in cui di musica elettronica ce n'era già fin troppa, e da parte di una band che, brava a suonare strumenti veri, suo punto di forza, di quella freddezza precisa e spietata non aveva affatto bisogno. È incredibile infatti osservare la differenza che c'è quando si ascolta qualche rara performance live dei brani migliori del long playing del 1984. Si provi ad ascoltare la citata "Mannequin", con la voce di George che, impeccabile, sembra quasi un disco, l'ironia con cui snobba la stampa e continua dritto per la sua strada, oppure la splendida prova del soundcheck in "The Dive", rara esibizione che ogni tanto appare in rete, per poi sùbito scomparire per problemi di diritti d'autore, dove si perde tutta l'aritmia della versione in studio ed emerge quasi un remix, un'«extended version» elettronica, suonata dal vivo, con strumenti veri, con cori che sembrano campionati, ma sono invece umani, e il basso che si rifà della pessima figura rimediata, suonando quasi finto, in apertura del secondo lato.
Forse, l'elemento positivo è da trovare proprio nella storia che, nonostante tutto, George riesce a raccontare, nella sua tipica incoerente coerenza. Dopo aver chiarito, infatti, che si tratta del terzo errore (anche se il testo, in realtà, è più amaramente autobiografico di quanto faciliterebbe invece liquidarlo come una mera descrizione dello status commerciale dell'album: l'errore numero tre sembra essere infatti la creatura che nasce dalle due persone che la mettono al mondo, e George è, tra l'altro, anche il terzo figlio...), girando il vinile, la storia porta a tentare «un tuffo» ("The Dive"), che se non ci fosse l'allegro ritornello, sarebbe piuttosto un naufragio. E via poi con il triste rimpianto del secondo singolo, "The Medal Song", con il ritornello forse più triste di tutti quelli commercializzati con successo dal gruppo («la vita non sarà mai più la stessa, con la mia rabbia, il mio dolore, le mie paure, riuscirò ad ottenere un'altra medaglia da mostrare?»), e non è un caso che il 45 giri costituisca il primo flop del gruppo, dopo il primo successo ottenuto con "Do You Really Want to Hurt Me". "The War Song", nel suo ingenuo qualunquismo banalotto, aveva dato a tutto l'entourage un falso senso di sicurezza, raggiungendo il Numero 2 della Classifica Britannica dei singoli, ma l'album, dopo i primi frenetici giorni, esauritesi le prenotazioni effettuate prima dell'uscita, dopo che il senso di attesa e aspettativa si era allentato, aveva iniziato a vendere sempre meno; anche il tour già vacillava, partito troppo presto, non riusciva a fare il tutto esaurito, per il fatto che nessuno conosceva ancora i brani (soprattutto negli USA). Alla stampa, sempre stata un'amica/nemica acerrima del poliedrico leader dei Culture Club, quella stampa che li seppe portare al successo con la stessa velocità con cui volle poi distruggerli, quella stampa che cercava di fare luce sulla storia segreta dei due compagni di gruppo, proprio a quella stessa stampa è dedicata "Mannequin", «dedicata a tutti quei giornalisti che mi hanno definito un idiota», dice Boy George in un'introduzione all'esecuzione dal vivo del brano, visionabile su YouTube, aggiungendo anche, con la sua solita tagliente ironia «posso anche essere un idiota, ma sono un idiota con stile». Con la sua piacevole melodia (anche se triste, come il testo: «lui è il mannequin dei tuoi sogni, l'hai rinnegato - io non posso che darti me stesso, ma quel che vuoi vedere tu non è questo») e con dei cori accattivanti (nelle cui parti più gravi si riconosce la voce nera del bassista Mikey Craig), il disco si avvia alla sua conclusione, proprio quando sembra affiorare una forma più equilibrata e di senso finalmente compiuto. Ma le troppe pressioni, le troppe aspettative e i troppi interessi, non a caso fanno terminare il lavoro con un altro brano profetico; neanche il tempo di dire «Salve!», che già bisogna dire «Addio...», e Hello Goodbye chiude così un disco strano e raffazzonato, senza neanche forse arrivare più alle orecchie di chi l'aveva messo sul piatto mezz'ora prima, che forse ha smesso di ascoltare sulla confusione ritmica di "The Dive" (canzone che, tra l'altro, più che approssimativa sul vinile, dà il meglio di sé proprio nell'esecuzione live, anche questa reperibile su YouTube), cercando di capire cosa fossero mai quei suoni strani, che non potevano uscire dalle menti di chi, solo qualche mese prima, intonava "It's a Miracle", «è un miracolo», in un'esplosione di gioia incontenibile e condivisa dal mondo intero. Forse, come Boy George e Jon Moss stessi diranno in séguito, la colpa principale dell'album è stata quella di voler sperimentare anzitempo coi computer, in un periodo in cui di musica elettronica ce n'era già fin troppa, e da parte di una band che, brava a suonare strumenti veri, suo punto di forza, di quella freddezza precisa e spietata non aveva affatto bisogno. È incredibile infatti osservare la differenza che c'è quando si ascolta qualche rara performance live dei brani migliori del long playing del 1984. Si provi ad ascoltare la citata "Mannequin", con la voce di George che, impeccabile, sembra quasi un disco, l'ironia con cui snobba la stampa e continua dritto per la sua strada, oppure la splendida prova del soundcheck in "The Dive", rara esibizione che ogni tanto appare in rete, per poi sùbito scomparire per problemi di diritti d'autore, dove si perde tutta l'aritmia della versione in studio ed emerge quasi un remix, un'«extended version» elettronica, suonata dal vivo, con strumenti veri, con cori che sembrano campionati, ma sono invece umani, e il basso che si rifà della pessima figura rimediata, suonando quasi finto, in apertura del secondo lato.
BOY GEORGE SOLO
Sold |
Sold è il primo album da solista del cantante britannico Boy George, ex leader del gruppo inglese Culture Club, pubblicato l'8 Giugno nel 1987 dalla Virgin Records. L'album è stato un grande successo in Europa e un modesto successo nel Regno Unito , ma non è riuscito a vendere anche negli Stati Uniti perché George non è stato in grado di recitare e promuovere il record a causa delle restrizioni legate alla droga, quindi Sold ha raggiunto solo il numero 145 sul Billboard 200 , anche se Boy George era stato un artista multi-platino con Culture Club negli anni precedenti. L'album è comunque un enorme successo in Italia , dove è diventato il lavoro di scacchiera e bestseller di George, mai anche il suo gruppo Culture Club, anche se estremamente popolare in quel paese, ha mai raggiunto un tale risultato. L'album ha ottenuto buone recensioni, anche se la Virgin Records non piaceva l'uso di ottone su molte tracce.
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