La sua storia....
Il personaggioAutore di canzoni (soprattutto dei testi) e icona culturale a tutto campo, giunto alla celebrità, negli anni ottanta, col suo primo gruppo, i Culture Club, George O'Dowd, oltre che come Boy George, ha inciso e prodotto, e continua tuttora a farlo, sotto diversi pseudonimi (Angela Dust) oppure celato dietro progetti collettivi (Jesus Loves You, Dubversive) o band solo virtualmente tali, di cui costituisce sempre il componente fondamentale, quando non addirittura l'unico (come nell'ultima trovata, che risponde al nome di The Twin).
In tutti i casi, come è evidente a colpo d'occhio, si tratta di cosiddetti «nomi parlanti» (come era già con «Culture Club», traducibile come "Club culturale", o con i nomi provvisori inizialmente adottati dalla band - cfr. infra). «Angela Dust» è infatti un palese richiamo all'espressione inglese «angels' dust», la "polvere degli angeli", in cui è chiaro il riferimento all'allucinogeno fenciclidina. «Jesus Loves You» è addirittura una vera e propria frase di senso compiuto, che significa "Gesù ti ama" o "Gesù vi ama", e che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni, se non del chiarimento che, nonostante la scelta del personaggio che rappresenta il cristianesimo per antonomasia, il progetto è per lo più basato sulla commistione di elementi religiosi di diversa provenienza, soprattutto orientale, legati in particolare al movimento Hare Krishna. «Dubversive» è una parola macedonia costituita da «dub» "doppio" (anche nome di un sotto-genere del reggae) e «subversive» "sovversivo", suggerendo l'idea di anarchia musicale, un essere (o alter ego) completamente al di fuori del sistema artistico stabilito (e, non a caso, l'album relativo non verrà mai pubblicato, proprio per non scendere a compromessi di alcun tipo). «The Twin», infine - recentissimo progetto, in cui l'artista riprende il look estremo del performer Leigh Bowery il cui significato collettivo è "i gemelli", ma che può essere tradotto anche al singolare, "il gemello", riprende il tema del doppio e si pone come richiamo ambivalente, da una parte al segno zodiacale del cantante, nato, appunto, sotto il segno dei Gemelli (che in inglese si dice, in realtà, «Gemini», dal latino, ma lo stesso George ha sottolineato il particolare), e dall'altra al look letteralmente rubato a Bowery, copiato fin nei minimi dettagli, dalle sue particolarissime mise che sfidano la gravità al trucco pesantissimo ed estremamente teatrale, già adottato da O'Dowd, nel musical da lui stesso composto, musicato ed interpretato, Taboo, basato sulla colorata vita nei club gay degli anni ottanta, in cui l'artista ha però deciso di interpretare, invece che se stesso (uno dei personaggi in scena), proprio il controverso ruolo di Leigh Bowery, a quanto pare fatto su misura per il suo continuo bisogno di sperimentazione, specie di valvola di sfogo creativo, che avrebbe poi dato vita, come lui stesso ha dichiarato, in rete, su MySpace, nella pagina da lui scritta, al più recente dei suoi progetti, appunto, The Twin. |
I prefer a nice cup of tea to sex! ” |
Gli inizi
George nasce il 14 Giugno del 1961, in una numerosa famiglia appartenente alla classe operaia, originaria di Thurles, nella contea di Tipperary in Irlanda. Fin da ragazzo, George ha frequentato il locale "Blitz Club" di Londra e di conseguenza faceva parte del gruppo New Romantic dell'epoca, chiamato appunto The Blitz Kids (Steve Strange, Spandau Ballet...). A lato potete notare il suo stile, nell'epoca in cui frequentava il Blitz Club.
Ben noto sulla scena londinese, il suo stile androgino cattura l'attenzione del dirigente musicale Malcolm McLaren (creatore e manager dei Sex Pistols), che ne organizza l'esibizione in vari spettacoli, assieme ai Bow Wow Wow di Annabella Lwin, gruppo musicale gestito dallo stesso McLaren. George, che si esibisce dal vivo con il suo primo soprannome, Lieutenant Lush ("Luogotenente Beone"), forte anche di una particolare voce soul, calda e potente, che diventerà, nell'immediato futuro, uno dei suoi marchi di fabbrica più apprezzati, ben presto ruba la scena alla Lwin, motivo per cui l'unione tra l'artista e la band, che comunque ruota interamente attorno alla figura della cantante, dotata di una personalità piuttosto forte e dal carattere altrettanto determinato, ha breve durata, essendo fin troppo evidente l'inconciliabilità tra i due, nonostante tutto accomunati da numerose caratteristiche tra loro contrastanti. Tra l'altro, in séguito, McLaren rivelerà di aver arruolato George nei Bow Wow Wow al solo scopo di scuotere Annabella (e non per ampliarne l'organico, come aveva fatto credere ad entrambi), la quale, secondo il mentore (del tutto privo di scrupoli e solamente attento ai suoi interessi personali, invece, secondo George), necessitava di una simile spinta, per acquisire la sicurezza definitiva, che in fondo ancora le mancava, nelle sue innate capacità di leader, caratteristiche tutte condivise da George, che il futuro frontman dei Culture Club avrebbe mostrato, di lì a poco, non solo a un basito McLaren (che, comunque, nonostante il gioco sporco, aveva sempre creduto seriamente nelle sue potenzialità, a suo parere, neanche troppo latenti), ma al mondo intero. Sin dagli inizi della sua carriera, l'immagine di Boy George (androgina e pesantemente avvolta dal make-up) si è scontrata con quella di Pete Burns, leader storico dei Dead or Alive. Questa è una delle "guerre" di immagine più rappresentative degli anni '80, in quanto sia George che Burns hanno sempre sostenuto di essere stati "i primi a vestire in quella mise, e di essere stati copiati dall'altro". |
Boy George al Blitz Club (Londra, Great Queen St.)
I Culture Club
Reduce dalla fugace avventura coi Bow Wow Wow, che gli ha comunque dato un assaggio della dimensione live e di com'è far parte di una band, George, che ha già mosso i primi passi nel mondo artistico, posando per diversi servizi fotografici, finendo anche su qualche copertina, decide di voler intraprendere proprio quella carriera, e si unisce così al bassista Mikey Craig, che ha visto una sua foto su una rivista e, rimasto colpito dal suo straordinario look, incontratolo in un club, gli propone l'idea del gruppo musicale. I due creano una band, e si ribattezzano collettivamente «In Praise Of Lemmings» "in lode dei lemming", nome che viene sùbito abbandonato, e a loro si unisce anche Jon Moss, che aveva già suonato la batteria come membro di alcuni gruppi più o meno noti, quali The Damned, gli Adam and the Ants e i London (e che avrà, all'insaputa degli altri membri della band, una lunga e turbolenta relazione sentimentale proprio con George). Poco tempo dopo, a causa dell'insoddisfacente collaborazione con un altro chitarrista, Suede (che ancora compare nelle primissime foto pubblicitarie del gruppo), entra nella band Roy Hay, e un altro nome, Sex Gang Children ("i bambini della cricca del sesso"), su precisa richiesta di Jon, viene abbandonato (diventerà quello di un gruppo guidato da un conoscente di George, Andy Hayward "Sexgang") in favore di Culture Club.
Infatti, dopo aver realizzato che la band è formata da Boy George alla voce, di origini anglo-irlandesi e tradizioni ebraiche, da un giamaicano di pelle nera al basso, da un batterista, anche lui ebreo, adottato da una famiglia benestante, che da tempo risiede nel Regno Unito, e da un chitarrista anglo-sassone, decidono di conseguenza di chiamarsi Culture Club, sempre su consiglio del più esperto dei quattro, Jon, che oltre ad essere un batterista ottimo e navigato, ed un eccellente percussionista, all'avanguardia in fatto di strumenti ritmici (in particolar modo, strumenti percussivi che creano il sound tribale così tipico del primo periodo dei Culture Club), possiede anche una spiccata tendenza organizzativa, che metterà subito al servizio del gruppo (sarà proprio lui, infatti, a consegnare, nelle mani giuste, il demo che li porterà al loro primo contratto discografico). La band firma dunque con la Virgin Records in Gran Bretagna, e con la Epic negli Stati Uniti, dato che la Virgin, all'epoca, non è ancora presente sul mercato statunitense, pubblicando il primo album, Kissing to Be Clever, nel 1982, dopo aver presentato un demo di tre pezzi al produttore Steve Levine e all'executive attivo nell'industria discografica John Howard, entrambi dotati di un grande talento, alla ricerca di gloria e di una band con cui lavorare (vedi Culture Club Collect - 12" Mixes Plus/Culture Club Remix Collection, per saperne di più sulla storia dei primi Culture Club, dalla scoperta avvenuta con il prima demo, ai grandi successi mondiali, fino alla pubblicazione del terzo album, Waking Up with the House on Fire, con cui ottengono la loro seconda Numero 2 britannica, ma anche il loro primo flop). Il primo singolo, "White Boy", non ottiene un grande successo e non entra in classifica tra i primi 100, raggiungendo soltanto il Numero 114, ma George è comunque felice, perché «five thousand people still bought my single and didn't even know me» ("cinquemila persone hanno comunque comprato il mio singolo senza neanche conoscermi"). Anche il singolo successivo, "I'm Afraid of Me", non diventerà mai un grandissimo successo, pur arrivando, stavolta, esattamente al Numero 100, 14 posizioni più in alto del precedente 45 giri. La strada verso la vetta sembra quindi terribilmente (e pericolosamente, vista la firma del contratto con una major) lenta. Ma quando viene pubblicato il terzo singolo, "Do You Really Want to Hurt Me", romantica ballata reggae, la band finalmente sfonda. Il singolo arriva ufficialmente al Numero 1 in 16 paesi (Numero 2 negli Stati Uniti e in Italia) e il gruppo diventa una presenza fissa alle radio statunitensi e sul nuovo network musicale MTV. A questo terzo singolo, il primo di enorme successo, seguono Time (Clock of the Heart) - la quale, espressamente realizzata come séguito ideale di Do You Really Want to Hurt Me, rappresenta, per il gruppo, fino ad allora orientato verso sonorità caraibiche, tribali e reggae, una decisiva svolta in direzione pop-soul, stavolta su precisa indicazione di Roy, al quale tocca la palma di esperto dei quattro, dal punto di vista strettamente musicale - e "ì l Tumble 4 Ya" (tratta ancóra dal primo fortunato album), arrivati rispettivamente al Numero 2 al Numero 9 nella classifica americana. Questo dà ai Culture Club l'onore di essere la prima band, dopo i Beatles, ad avere avuto ben tre presenze, nella Top Ten dei Billboard Hot 100, con altrettanti brani tratti tutti dall'album d'esordio (negli USA, infatti, il brano "Time (Clock of the Heart)", assente dall'edizione europea di Kissing to Be Clever, viene aggiunto, come decimo brano, alle nove tracce originarie dell'LP, in apertura o chiusura del lato 2, a seconda delle versioni realizzate per quest'ultimo). Il 1983 e il 1984 rappresentano gli anni d'oro, in cui il gruppo raggiunge l'apice della fama, dominando le classifiche mondiali, MTV e le copertine delle riviste, in gran parte grazie all'uscita del secondo album, Colour by Numbers, che continua nella chiave soul aperta dal quarto singolo, "Time (Clock of the Heart)". Il primo singolo contenuto nel nuovo album, "Church of the Poison Mind", che, testato dal vivo, nella parte finale del tour d'esordio, anticipa il secondo lavoro di diversi mesi, con la partecipazione vocale massiccia di Helen Terry (già utilizzata sulla prima Numero 1, la corista prende parte, per la prima volta, anche al relativo videoclip, insieme al gruppo), entra nella Top 10, arrestando la sua ascesa soltanto dopo aver raggiunto il Numero 2, sospinta da un trascinante ritmo, in perfetto stile Motown. Il secondo nuovo singolo, "Karma Chameleon", decide invece di andare ben oltre, raggiungendo sia la vetta inglese che quella statunitense, e restando al Numero 1 per quattro settimane consecutive negli Stati Uniti e per sei settimane nel Regno Unito, dove diventa in breve il singolo più venduto dell'anno, con 1.300.000 copie vendute nella sola madrepatria, nonostante la tarda pubblicazione annuale, avvenuta a settembre inoltrato. "Karma Chameleon" diventa Numero 1 anche in numerosi altri paesi, costituendo il più grande successo in assoluto del gruppo, nonché uno dei brani più popolari di tutti i tempi, ancora oggi tra i classici degli anni ottanta, e tra i brani più noti e richiesti in generale. Il terzo e il quarto singolo, "Miss Me Blind" e "It's a Miracle", entrano rispettivamente nella Top 10 e nella Top 20 negli USA ("It's a Miracle" arriva fino al Numero 4 nel Regno Unito, dove "Miss Me Blind", invece, non viene affatto pubblicata), mentre l'ultimo singolo estratto, "Victims", intensa ballata orchestrale, considerata all'unaniminità il capolavoro indiscusso del gruppo, aggiunge un altro successo in Gran Bretagna, dove, nonostante i pochissimi passaggi radiofonici, raggiunge comunque il Numero 3, nel periodo di Natale del 1983, e arriva al Numero 2 in Italia, dove solo "Do You Really Want to Hurt Me" risulterà avere ottenuto un successo maggiore (unica Numero 1 per il gruppo nella penisola), facendo meglio persino di "Karma Chameleon" (non andata oltre il Numero 3), e ripetendo l'impresa anche nella classifica annuale generale del paese. Il gruppo si porta a casa un Grammy come «Best New Artist, Group or Duo» ("Migliore Artista/Gruppo/Duo Esordiente"), mentre George dice via satellite al pubblico: «Thanks America! You've got style and taste, and you know a good drag queen when you see one...» ("Grazie America! Avete stile e gusto, e sapete riconoscere una drag queen con le carte in regola, quando ne vedete una..."), frase con la quale si ritrova a fare, quasi inconsciamente, un inaspettato, e forse prematuro, coming out, che, dopo anni di allusioni velate e di ambiguità gridate ai quattro venti, sembra finalmente fare chiarezza sulla sua sessualità, togliendo però tutto il gusto insito nel desiderio di scoprire ciò che ancora è ignoto, privando in questo modo sia il cantante che il gruppo, che da lui fortemente dipendeva, di ciò che, fino ad allora, aveva esercitato il fascino più attraente agli occhi del pubblico. Colour by Numbers arriva a vendere quasi cinque milioni di copie in tutto il mondo, buona parte delle quali nei soli Stati Uniti, facendo dei Culture Club la band più importante del momento. Anni dopo, la rivista "Rolling Stone" inserirà questo album nella Top 100 degli album migliori di sempre, mentre le ricerche congiunte della AARI americana e della BPI inglese hanno collocato il disco al Numero 87 nella classifica dei 100 album più venduti degli anni ottanta, fissando a 4.900.000 le copie vendute, all'epoca, in tutto il mondo. Colour by Numbers ha comunque tagliato il traguardo dei 5.000.000 di esemplari, alla fine del periodo di riunione del gruppo, nel corso del fortunato quinquennio 1998-2002, quando è stato ristampato in CD rimasterizzato, con 5 bonus tracks, costituite dai lati B dei vari singoli (tra questi, la versione orchestrale strumentale della ballad Victims, la cover live di un vecchio brano anni sessanta, "Melting Pot", con cui la band chiudeva i propri concerti dal vivo, e "Colour by Numbers", la title-track dell'intero 33 giri, curiosamente esclusa dalla sua tracklisting originaria - una consuetudine ripetuta per ben 3 volte dai Culture Club con i propri album). Lo strabiliante look di George ha ispirato molte gare di sosia in tutto il mondo, e il suo volto è diventato l'immagine dei Culture Club per antonomasia. Con il suo stile di vita alquanto stravagante, l'artista è diventato, inoltre, un idolo alternativo per gli adolescenti dell'epoca, che, a distanza di un paio di settimane dalla prima apparizione televisiva della band, sul celeberrimo "Top of the Pops" (avvenuta, tra l'altro, anzitempo, quando la loro prima Numero 1 era ancora soltanto nella Top 20, a causa dell'indisposizione di un altro artista), volevano vestirsi come lui (ragazze e ragazzi, senza distinzione, fatto che lo ha reso il capostipite dei cosiddetti gender-benders, individui asessuati o unisex, tesi ad eliminare proprio le barriere tra i sessi: «Who's got the new boy gender?», come recita uno storico verso di "I'll Tumble 4 Ya", "Chi ha capìto il genere del nuovo ragazzo?", o anche "Chi sa il nuovo genere del ragazzo?"). Il suo fascino è dipeso dalla sua amabilità, dalla sua intelligenza e dal suo spirito vivace. A lui è attribuita una delle frasi più famose e più citate degli anni ottanta, originariamente pronunciata durante un'intervista televisiva, rilasciata a Barbara Walters: «I prefer a nice cup of tea to sex» ("Preferisco una buona tazza di thè al sesso"), anche se, molti anni dopo, George ha rivelato la totale falsità di questa affermazione, addirittura rovesciandola, nei racconti più piccanti della sua prima autobiografia, dove si parla di "sesso selvaggio, fatto al buio, sulle scale, senza neanche riuscire ad arrivare su un divano". Anche il fatto che sapesse effettivamente cantare e che avesse una voce soul inconfondibile (definita dal collega Rod Stewart come "una delle più belle voci soul di tutti i tempi") costituivano attributi di tutto rispetto, anche se, all'epoca, spesso sottovalutati. Alla fine del 1984, nel periodo di Natale, Boy George compare, con una chioma rosso fiammante, nel ruolo di uno dei cantanti principali tra gli artisti della Band Aid, anche se il suo contributo vocale è l'ultimo ad essere inciso (chiamato dall'irlandese Bob Geldof mentre è a New York, George riesce a prendere l'ultimo aereo e ad arrivare in tempo per finire il brano, anche se non figura né nelle immagini pubblicitarie né nel grande coro, entrambi precedenti al suo arrivo in extremis), nel singolo di beneficenza, "Do They Know It's Christmas", realizzato per contribuire ad arginare il diffondersi della carestia in Etiopia. Il successo mondiale del singolo, realizzato dal mega-gruppo britannico/irlandese, conduce alla immediata risposta statunitense di We Are the World, dai risvolti globali. Nel 1985, quando i Culture Club pubblicano il singolo isolato "Love Is Love", tratto dalla colonna sonora del film Electric Dreams (curata dal produttore italo-americano Giorgio Moroder, e contenente anche "Now You're Mine", un pezzo cantato dalla corista Helen Terry, oltre ad un altro brano della band, la brevissima chiccha "The Dream", a cui spetta un ruolo di spicco all'interno della pellicola, con un video esclusivamente dedicato alla canzone), singolo che non vedrà mai la luce nella madrepatria, e diventerà invece un grandissimo successo in Giappone e in Italia, Boy George è ormai diventato un nome familiare in molti paesi del mondo. Nel 1986, il cantante fa il suo ingresso nel mondo del cinema, recitando, come protagonista, in un episodio della serie TV A-Team, appositamente intitolato "Cowboy George", portandosi dietro anche gli altri tre membri della band, ai quali viene però affidato solamente un ruolo secondario. La storia, insomma, sembra ripetersi, e la finzione ricalca la realtà: il Boy più famoso del mondo, con la sua personalità straripante e la sua voce inconfondibile, finisce con l'offuscare i suoi compagni. La trama dell'episodio del telefilm ne è un esempio chiaro e lampante, fin dal titolo, in cui si allude soltanto al nome del futuro solista, seppur modificato in «Cowboy George» (che, comunque, lo contiene al suo interno). Nel resto della pellicola, mentre lui è il protagonista indiscusso, l'unico rivale degno di questo nome è il leggendario Mister T, con la sua chioma moicana e i suoi pesantissimi gingilli d'oro, d'argento e di pelle, tra le collane al collo e i bracciali ai polsi, sparsi un po' ovunque sull'enorme corpo nero. Gli altri tre membri della band arrivano invece soltanto negli ultimi dieci minuti scarsi, per interpretare due pezzi in playback: l'ultimo recente singolo dell'epoca, "God Thank You Woman", e il mega-successo planetario, "Karma Chameleon", particolarmente adatto, con il suo andamento country, all'ambientazione del set (nella fiction, idealmente suonati dal vivo, i due brani sono in realtà le versioni originali di studio presenti sui relativi album, e, almeno nella versione doppiata in italiano, "God Thank You Woman", già colpevole di aver regalato alla band il suo secondo disastroso flop, dopo "The Medal Song" del 1984, viene persino montata in asincrono, con le labbra del cantante che non rispettano il lipsync, e le mani e le dita dei musicisti che anticipano o ritardano le note sui rispettivi strumenti - particolarmente disastrosi proprio Jon e George, amanti clandestini, all'epoca in disastrosa rotta anche nella vita reale). Comunque, i due album dei Culture Club successivi a Colour by Numbers (Waking Up with the House on Fire del 1984 e From Luxury to Heartache del 1986) riscuoteranno molti meno consensi rispetto ai primi due, e la band riuscirà ad ottenere soltanto altre due vere hit secondo i propri altissimi standard, "The War Song" (Numero 2 nel Regno Unito, nel 1984) e "Move Away" (Numero 7 nel Regno Unito, nel 1986), accanto al successo minore statunitense "Mistake No. 3" (l'unica ballad del terzo album - definita dal collega George Michael il pezzo migliore di un disco generalmente stroncato dalla critica, anche se molto amato dai fans - che non verrà comunque mai pubblicata in Gran Bretagna, mentre in Italia esce una specie di singolo doppio lato A, che contiene anche "Love Is Love"), e i due citati flop, costituiti da "The Medal Song" e "God Thank You Woman". Quanto a questi ultimi, entrambi non vanno oltre la Top 40: un fallimento totale, come accennato, per un gruppo del calibro dei Culture Club, senza contare che il terzo singolo pubblicato negli USA da From Luxury to Heartache, "Gusto Blusto", diventerà l'unico singolo in tutta la storia dei Culture Club a non entrare nemmeno nelle parti più basse della classifica, cioè tra i primi 100! Questo può essere in parte dovuto alla mancanza di un relativo video promozionale, che non viene girato perché la band si è già praticamente sciolta, e sta per scoppiare lo scandalo-droga che trascinerà George, ancora una volta, ma per altri motivi, sulle prime pagine di tutti i giornali e su tutti i notiziari radio-TV in tutto il globo. Nel corso degli anni, intanto, George aveva infatti avuto una relazione con il batterista del suo gruppo, Jon Moss, e quando il rapporto era iniziato a crollare, il cantante aveva incominciato a fare pesante uso di droghe, per combattere la depressione. Sarà proprio questo a provocare la repentina spirale discendente della band, finché i Culture Club non si scioglieranno del tutto, nel 1986, sùbito dopo la pubblicazione del quarto album, From Luxury to Heartache, appena all'inizio del tour per la promozione dello sfortunato disco. George, difatti, non riesce più a lavorare con Moss, oltre al fatto che ha iniziato a prendere l'abitudine di presentarsi durante gli spettacoli dal vivo completamente stravolto, sotto l'effetto della droga (celebre a questo proposito è uno show tenutosi in Grecia, nel 1986, a testimonianza del quale circola in rete, su YouTube, un video live che ripropone la performance di "Heaven's Children", brano di chiusura del lato 1 del quarto album, programmato come quarto singolo, e mai uscito come tale, proprio per via di quanto sarebbe successo a breve termine; nel video il cantante appare "fatto", e riceve anche una sassata proveniente dal pubblico, probabilmente arrabbiato per la sua penosa performance). Un segno dell'imminente rottura della band era già stato il fatto che non erano apparsi su nessuno dei due palchi allestiti per lo svolgimento del mega evento che ha praticamente fatto la storia della metà degli anni ottanta, rappresentato dal Live Aid, svoltosi nel 1985, nonostante i Culture Club fossero ancora uno dei gruppi più blasonati del mondo. Quanto a George, la porta dell'inferno viene da lui varcata proprio in quello stesso 1985, e la sua iniziale dipendenza dalla cocaina si trasforma ben presto, e in modo quasi casuale, in una gravissima dipendenza da eroina; inizia così una lotta continua contro la droga, che si trascinerà per diversi anni, con il cantante che smetterà di farne uso, per poi subito ricominciare, oppure, durante i lunghi e ripetuti periodi di disintossicazione, uno dei quali trascorso nella casa di campagna di Roy Hay e sua moglie Alison, assumendone una parte di nascosto, e gettandone un'altra nella toilette, come racconta lo stesso George nella sua prima autobiografia, Take It Like a Man. Come detto, l'artista comincia a comparire in pubblico sotto l'effetto della droga, tentando persino di fare dei concerti in quello stato. Pian piano, alla cocaina e all'eroina si aggiungono vari altri stupefacenti, e il fratello di George, tentando disperatamente di salvare il suo più famoso congiunto dalla morte, compare alla televisione nazionale britannica, suonando un campanello d'allarme nei suoi confronti. Alcuni dei collaboratori del cantante erano già morti di overdose, ma la vicenda raggiunge il picco massimo quando il musicista statunitense Michael Rudetsky, il quale, molto vicino al cantante (aveva composto con il gruppo "Sexuality", brano di chiusura del quarto album, sul quale aveva anche suonato), viene trovato morto per overdose nella casa di George a Londra, in una delle tante Well Road della capitale inglese, nel quartiere di Hampstead. Questo evento avrebbe pian piano portato George ad abbandonare l'uso di stupefacenti, ma all'epoca, l'avvenimento ha come unico risultato l'arresto del cantante e il suo continuo peggioramento. |
Attività attuale
Boy George è un DJ di successo, tra i più originali ed alternativi della scena dance attuale, che organizza molte serate in quanto tale, mentre, in veste di cantante, pubblica dischi sempre più di rado, andando in tournée saltuariamente. Rimane comunque un'icona della musica pop. Nel 2010 viene eletto alla posizione n.° 80 nell'annuale classifica "Top 100 DJ" indetta dalla famosa rivista Dj Magazine.
Ha cantato il popolare inno Hare Krishna, Bow Down Mister, anche in duetto con la cantante indiana Asha Bhosle. Inoltre, è recentemente apparso come ospite nel talk-show/British comedy "The Kumars at No. 42". Tra gli ultimi lavori da lui pubblicati, sono da ricordare la raccolta di brani inediti su richiesta dei fans, intitolata The Unrecoupable One Man Bandit, del 1999, con brani maggiormente tratti dal séguito mai pubblicato dell'album del 1995, Cheapness and Beauty, e l'album di ballate acustiche (per metà edite, per l'altra metà inedite), dal titolo U Can Never B2 Straight, del 2002. Tra il 2003 e il 2004, Boy George ha dato vita ad un nuovo progetto musicale, simile nella forma e nei contenuti (entrambi però estremizzati, sia nel look quasi teatrale che nelle sonorità pesantemente elettroniche) a quello dei Jesus Loves You, vale a dire The Twin, più che un gruppo, un altro pseudonimo di copertura, con il quale rilanciarsi cautamente nella nuova esperienza solista, dopo il secondo scioglimento dei Culture Club, avvenuto nel 2002. Come The Twin, George pubblica l'album Yum Yum (da cui trae 4 singoli in edizione limitata, "Here Come the Girls", "Electro hetero", "Sanitised" e "Human Racing") e un EP, intitolato come la pseudo-band, "The Twin", trainato dal brano "Nothing", in un periodo molto creativo e liberatorio, nel quale gli è finalmente concesso di cantare ciò che più gli aggrada. Oltre ad essere un periodo "creativo e liberatorio" è sicuramente anche e soprattutto un periodo controverso; il cantante registra la colonna sonora per il porno-gay film "Manhattan Heat" della Lucas Entertainment con lo pseudonimo di "The twin". È passata molta acqua sotto i ponti da quando Boy George diceva che al sesso preferiva una tazza di tè. Nel 2005, ha pubblicato Straight in Gran Bretagna, il suo secondo libro autobiografico, contenente l'omonimo "Straight EP", con cinque brani, quattro dei quali inediti e uno (l'intensa ballata "Julian") già incluso anche nel precedente citato album U Can Never B2 Straight. Dopo aver vissuto per un paio d'anni Manhattan, dove, il 7 ottobre del 2005, è stato arrestato per sospetto possesso di cocaina[3] ed è comparso in tribunale il 1º febbraio del 2006 (BBC Online Report), accusato di possesso di cocaina. L'8 marzo 2006 si è dichiarato colpevole di aver fatto perder tempo alla polizia (lui stesso aveva chiamato la polizia la sera dell'arresto, in evidente stato confusionale dovuto all'uso di stupefacenti, per denunciare un presunto furto mai avvenuto). Le voci sulla sua crisi personale sono avvalorate da diverse notizie: nel maggio 2008 ad esempio il cantante è stato fotografato mentre vendeva magliette a 10 sterline in un mercato rionale di Londra. Alti, bassi, discese ardite e risalite costellano la vita di George, infatti nella tarda primavera 2008 intraprende una nuova tournée che chiama "Songs that make you dance and cry Boy George Live" in cui il cantante ripropone brani del suo passato con i Culture club e materiale da solista. La tournée, originariamente pianificata con date negli States, America Centrale e Regno Unito (includendo qualche data europea ad alcuni festival estivi) a causa del diniego del visto d'ingresso da parte del governo statunitense, viene circoscritta soltanto a qualche data in centro America mentre le tappe europee rimangono invariate. George non riesce a concretizzare il suo ritorno live, dopo dieci anni di assenza, negli States. Incassa suo malgrado la sconfitta ma non si perde d'animo. Nel segmento inglese del tour l'artista riceve un buon consenso personale, anche se la voce non è più la stessa ed il fisico appesantito lo rendono una pietosa caricatura di se stesso. Altalenante il responso da parte del pubblico: alcune date sono tutte esaurite, altre vengono annullate a causa della scarsa prevendita di biglietti. Parte dei suoi fan continuano ad amarlo incondizionatamente, altri gli hanno voltato le spalle. Per nulla turbato, continua a fare ciò che gli riesce meglio: in ottobre immette sul mercato digitale, in ben tre versioni, "Yes we can" il suo nuovo singolo e nello stesso mese il canale via cavo Living TV trasmette in Inghilterra "Living with Boy George" un documentario in cui George mostra la sua quotidianità di persona ed artista, sempre in bilico tra coerenza e contraddizione, genio e sregolatezza. Il cantante è comunque deciso a voler ribadire e rafforzare nei confronti del grande pubblico il suo status di musicista capace e compositore talentuoso. Annuncia un nuovo tour-nostalgia "Here and now " insieme ad alcune "vecchie" glorie della scena musicale anni 80 da realizzarsi nel 2009 e partecipa al alcuni show televisivi in Europa accompagnato dalla sua band. In Inghilterra è ospite di numerosi talk show e concede una serie interminabile di interviste ribadendo la sua redenzione: stop definitivo a droghe ed alcool e serio intento di voler esser considerato un artista e non una persona che entra ed esce dalle aule dei tribunali. Ma nelle aule di un tribunale George ci tornerà presto portando con sé il fardello della condanna: a Londra viene giudicato colpevole di sequestro di persona. Boy George è stato accusato di aver ammanettato ad un letto l'escort gay sieropositivo Audun Carlsen, a suo dire reo di volergli sottrarre foto semi-pornografiche dal computer. Secondo quanto emerge durante il processo George ha colpito l'escort con una catena. Lui si difende dicendo che i suoi erano intenti intimidatori attuati al fine di impedire il presunto furto, il cantante avrebbe legato Carlsen solo per verificare di non esser stato derubato. Viene processato e ritenuto colpevole. Amareggiato, abbandonato anche dai fan più irriducibili, il cantante afferma di essere comunque sereno e convinto della propria innocenza, decide però di voler cancellare ogni sua apparizione pubblica fino al giorno in cui verrà emessa l'entità della condanna. Ma George è George, ed è ancora una volta il suo spirito contraddittorio a prendere il sopravvento, contrariamente a quanto annunciato, nel dicembre 2008 dichiara di voler tenere i due concerti al Pigalle Club di Londra pianificati prima del processo. A chi gli chiede il perché di questo suo ripensamento, serafico risponde " È il mio mestiere, perché non farlo?". Il 16 gennaio 2009 George viene condannato a 15 mesi di reclusione per essere poi rilasciato nel mese di maggio dello stesso anno anche se, per qualche mese, porterà un braccialetto elettronico che ne localizza gli spostamenti. Saldato il debito con la giustizia, sul finire del 2009, George si tuffa a capofitto in una serie di nuovi progetti: incide nuove canzoni, ricomincia i suoi DJ set, lancia nuovi artisti, pianifica concerti, concede interviste e si presta a nuove session fotografiche. L'ennesima rinascita di un artista che, tra mille contraddizioni, rimane un punto di riferimento nella cultura POP moderna. Il 28 ottobre 2013 esce in Inghilterra il suo nuovo album dal titolo This is what I do anticipato dal singolo King of everything. Nel 2017 realizza una cover di YMCA dei Village People a favore della YMCA australiana. |
STAY TUNED !!
Gennaio 2018
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